Contenere l’eros

Regimentazione delle passioni nell’opera seria del Settecento: prima di tutto mediante il testo, poi mediante il repertorio fisso delle figure musicali, infine mediante la collocazione dell’eros al centro, nel teatro, oggetto di una manipolazione rituale che coinvolge il gesto, la scenografia, il contesto della fruizione. I tre codici (testo, musica e teatro) si intersecano secondo una combinatoria, che nel pensiero settecentesco è la strategia più idonea a contenere l’eros, così come la pesca contiene il suo nocciolo: più tardi, la combinatoria pornografica di Sade adotterà esattamente la stessa tecnica, sia pure dal versante opposto delle convenzioni morali; la delicatezza sadiana è contenuta nella combinatoria della perversione come l’eros è contenuto in un’aria di Händel. (E forse è questo il modo più serio e onesto di trattare l’eros: se ne ammette l’indicibilità esasperando la finzione di contorno).

I piaceri contrapposti

Alcuni preferiscono rimandare continuamente il momento in cui godranno di un qualche piacere, per assaporarne meglio l’attesa. Questo può sembrare illogico, come se qualcuno preferisse la caccia in sé alla festa in cui si mangia il bottino; tuttavia, a pensarci bene, non potremmo godere di nessun piacere se non sapessimo che stiamo per goderlo, e che avremo un domani per ricordarlo. Anche quando godiamo di un piacere, dunque, godiamo per l’aspettativa del ricordo che in futuro avremo di quel piacere. (D’altronde, nessun condannato a morte può godersi veramente l’ultimo pasto.)

Un sogno di Kafka

«Stanotte, spaventosa apparizione di una bambina cieca […] Questa bambina cieca o debole di vista aveva entrambi gli occhi coperti da un paio di occhiali; sotto la lente, che era a dire il vero molto distante da esso, l’occhio di sinistra era grigio come il latte e sporgeva rotondo verso l’esterno, mentre l’occhio di destra era infossato e coperto da una lente ravvicinata. Affinché questa lente fosse disposta in modo otticamente corretto, era necessario utilizzare, al posto della solita stanghetta sull’orecchio, una leva il cui capo non poteva essere assicurato se non all’osso della mascella, sicché da questa lente si partiva una stanghetta in direzione della guancia, che qui scompariva nella carne trapassata e terminava sull’osso, mentre ne usciva un nuovo filo metallico che si ripiegava sull’orecchio» (Diari, 2 ottobre 1911).

Canarini e pitoni

Leggo sul giornale la reazione a caldo della madre, il cui figlio è stato arrestato con l’accusa di un omicidio atroce: «Non è possibile, allevava canarini!». In retorica, questo è un esempio ideale di utilizzo argomentativo della connotazione: allevare canarini non è certo un alibi concreto, è solo un passo di un entimema che dice: secondo la connotazione, chi alleva canarini è un animo gentile, un animo gentile non commette omicidi atroci, dunque mio figlio è innocente. (Se il figlio avesse allevato pitoni, si sarebbe guardata bene dal dirlo.)

Gli indimenticabili

L’enfasi con cui si celebra la grandezza degli antichi è in segreto rapporto con la speranza di poterli in qualche modo eguagliare nella durata della memoria; con l’idea che possa esistere in generale, almeno per qualcuno, una memoria incancellabile. Che in quasi tutto siano invece sostanzialmente irraggiungibili è, invece, già una forma attenuata di oblio. Guadagnarsi almeno questo: il pallido ricordo di un nome, sia pure in una incomprensione ormai completa di quasi tutto il resto.